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NEOREALISMUS
Umberto D. (Vittorio De Sica, 1952)
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Literatur
Filme
Il neorealismo (Ein Überblick von Prof. Antonio Costa)
Literatur
Brunetta, Gian Piero, Umberto Barbaro e lidea di neorealismo
(1930-1943), Livia Editrice in Padova, Padova 1969
Id., Storia del cinema italiano, vol. III, Dal neorealismo al miracolo economica
19451959, Editori Riuniti, Roma 1993
Id., Centanni di cinema italiano: 2. Dal 1945 ai nostri giorni, Laterza,
Roma-Bari 1991 (IVa ed. 2000)
Canziani, Alfonso e Bragaglia, Cristina, La stagione neorealista, Cooperativa
Universitaria Editrice, Bologna 1976
Micciché, Lino (a cura di), Il neorealismo cinematografico italiano,
Marsilio Editori, Venezia 1999
Filme
Roberto Rossellini
Roma città aperta, 1945
Paisà, 1946
Germania anno zero, 1948
Luchino Visconti
Ossessione, 1943
La terra trema, 1948
Bellissima, 1951
Vittorio De Sica
Sciuscià, 1946
Ladri di biciclette, 1948
Miracolo a Milano, 1950
Umberto D.,1952
Giuseppe De Santis
Caccia tragica, 1947
Riso amaro, 1949
Non cè pace tra gli ulivi
Aldo Vergano
Il sole sorge ancora, 1946
Alberto Lattuada
Il bandito, 1946
Luigi Zampa
Anni difficili, 1948
IL NEOREALISMO
di Prof. Antonio Costa (Università
di Bologna, Dipartimento di musica e spettacolo)
1. Introduzione
Il neorealismo è, senza dubbio, il movimento del cinema italiano
che ha conquistato maggiori consensi e maggiore fama in tutto il mondo.
Ancor oggi, a più di quarant'anni di distanza da una stagione che
fu di breve durata, il cinema italiano viene spesso identificato con il
neorealismo. Il successo internazionale avuto alcuni anni fa da Nuovo
cinema Paradiso (1989) di Giuseppe Tornatore, film cui è toccato
anche l'Oscar, si può in parte spiegare, come scrisse Alberto Moravia,
con il fatto che viene rievocata, in quel film, un'immagine dell'Italia,
provinciale e "stracciona", che per una larga parte del pubblico
internazionale coincide con l'immagine divulgata dal neorealismo.
Non è semplice ,oggi, comprendere in tutte le sue implicazioni
un fenomeno che fu senz'altro complesso e che non può essere ridotto
a una formula o a un'immagine stereotipa. Possiamo isolare tre aspetti
principali: quello morale, quello politico e quello estetico, precisando
però che essi risultano strettamente intrecciati nei film. Fu anzitutto
la reazione morale agli orrori e alle infamie della guerra che spinse
i cineasti a ritrovare i valori essenziali dell'esistenza e della convivenza
sociale. Bisognava dare una risposta sul piano politico alla serie di
tragici errori commessi dal fascismo. Di qui la necessità di un
linguaggio nuovo, che riuscisse a esprimere in modo diretto una presa
di coscienza e una volontà di mutamento. Esiguo è, dopotutto,
il numero di opere che questi caratteri appaiono in modo netto e perentorio.
E tuttavia poche opere sono state sufficienti a definire una nuova estetica,
capace di rinnovare non solo il cinema italiano, ma anche di costituire
un punto di riferimento per altre cinematografie, in varie parti del mondo
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2. Roma città aperta
Roma città aperta(1945) di Roberto Rossellini è il
film che segna l'inizio della nuova epoca. Si tratta di un film emblema
della volontà di rinascita del cinema italiano. Realizzato con
mezzi di fortuna, Roma città aperta prende spunto da fatti di cronaca
relativi al tragico periodo in cui, caduto il fascismo, Roma, in attesa
dell'arrivo delle truppe americane, fu teatro dello scontro tra le forze
della resistenza e la rabbiosa determinazione dell'esercito tedesco. Il
film presenta le vicende intrecciate di gente comune. Tra queste uno spicco
particolare assumono le traversie di un intellettuale comunista, capo
partigiano, e di un prete di quartiere, che, pur da diverse posizioni
ideologiche, affrontano un comune destino di morte. Alcune scene del film
diventarono immediatamente celebri: quella di Pina, la popolana interpretata
da Anna Magnani, che viene falciata dai colpi di mitra dei soldati tedeschi
che, nel corso di un rastrellamento, hanno prelevato il suo uomo, Francesco,
sospettato di essere responsabile di un attentato; quella delle torture
subite da Manfredi, l'intellettuale comunista interpretato da Marcello
Pagliero; o quella della fucilazione di don Pietro (Aldo Fabrizi) alla
quale assistono muti alcuni ragazzini che vediamo poi allontanarsi verso
uno sfondo dominato dalla cupola di S.Pietro. Il film di Rossellini presenta
ancora aspetti tradizionali: è interpretato da attori di grande
esperienza e popolarità come Anna Magnani e Aldo Fabrizi e fa ricorso
a metodi di enfatizzazione drammatica degli espisodi (basterebbe analizzare
il montaggio visivo e sonoro della sequenza della morte di Pina), tuttavia
esso costituisce un preciso segnale circa la direzione in cui si dovrà
muovere il nuovo cinema: trarre ispirazione dalla realtà quotidiana,
dare la priorità assoluta alla cronaca e alla forza delle reazioni
morali di fronte alla disumanità di una tragedia che non ha risparmiato
nessuno.
La forza d'impatto di Roma, città aperta trovò subito dopo
conferma in Paisà (1946) e Germania anno zero (1948), con i quali
Rossellini completava una sorta di trilogia della guerra, in Sciuscià
(1946) e Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica e in La terra
trema (1948) di Luchino Visconti. Del mutato clima politico, morale e
estetico danno testimonianza vari altri film. In certuni prevale nettamente
l'istanza politica, come in Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano
che ricostruisce un episodio della Resistenza in una prospettiva corale
o in Caccia tragica (1947), lungometraggio d'esordio di Giuseppe De Santis,
che accanto, a una forte componente populista, fa mostra di una capacità
di assimilazioni di moduli del cinema d'azione americano e di un uso funzionale
del paesaggio.
Rapidamente, lo spirito neorealista emerge anche in diversi registi di
origine e collocazione diversa: da Lattuada a Castellani, da Zampa a Germi,
da Blasetti a Soldati. Ecco alcuni titoli variamente significativi: Il
bandito (1947) di Alberto Lattuada, Fuga in Francia (1948) di Mario Soldati,
Sotto il sole di Roma (1948) e E' primavera (1949) di Mario Castellani;
Prima comunione (1950) di Blasetti; L'onorevole Angelina (1947) di Zampa,
nel quale la presenza di Anna Magnani, nel ruolo della moglie di un brigadiere
che guida le donne di una borgata romana in una lotta contro gli speculatori,
immerge in un'iconografia decisamente neorealista un'opera impostata sui
toni concilianti della commedia.
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3. Un'estetica della realtà
A partire dalla presentazione, nel 1946, alla prima edizione del
Festival di Cannes di Roma città aperta, il nuovo cinema italiano
conobbe un successo internazionale senza precedenti. Quella che fu subito
chiamata la "scuola italiana" divenne un punto di riferimento
obbligatorio per definire i nuovi sviluppi dell'estetica del film, come
in passato lo erano stati l'espressionismo tedesco o la "scuola sovietica"
negli anni venti.
L'impiego di attori non professionisti (gli attori "presi dalla strada");
il realismo dell'ambientazione ottenuto abbandonando gli studi di posa
a favore delle riprese in esterni e girando nei luoghi stessi in cui si
svolge l'azione; l'adozione di uno stile di tipo documentaristico; la
narrazione di vicende ispirate alla vita quotidiana, ai fatti di cronaca:
sono questi i principi estetici introdotti dal neorealismo. Il miglior
testo per comprendere lo spirito con cui venne accolta, fuori d'Italia,
la nuova corrente cinematografica rimane ancor oggi l'articolo di André
Bazin Le réalisme cinématographique et l'école italienne
de la Libération apparso nel 1948 nella rivista "Esprit"
(Bazin 1958-1962, trad. it. 1972:275-303). In questo saggio, Bazin si
sofferma a analizzare soprattutto la tecnica narrativa, cercando di definire
il rapporto tra cinepresa (tipo di inquadratura e di raccordi tra inquadrature,
movimenti di macchina) e fatti narrati, ambiente, oggetti. Servendosi
di paragoni con la tecnica del romanzo americano (Dos Passos, Hemingway,
Faulkner) e della pittura francese (Matisse), Bazin cerca di dimostrare
che la cinepresa è diventata tutt'uno con l'occhio e la mano che
la guidano. In tal modo, secondo il critico francese, il racconto, che
nasce da una necessità biologica ancor prima che drammatica, "germoglia
e cresce con la verosimiglianza e la libertà della vita".
È soprattutto in un film come Paisà di Rossellini che Bazin
vede realizzarsi un radicale mutamento nella costruzione del racconto
cinematografico: L'unità del racconto cinematografico in Paisà
non è l'inquadratura, punto di vista astratto sulla realtà
che si analizza, ma il "fatto". Frammento di realtà bruta,
in se stesso multiplo e equivoco, il cui "senso" viene fuori
a posteriori, grazie a altri fatti tra i quali lo spirito stabilisce dei
rapporti. Senza dubbio il regista ha ben scelto tra questi "fatti",
ma rispettando la loro integrità di "fatto" (ibid., p.
299).Questa interpretazione del neorealismo, incentrata soprattutto sulla
"rivoluzione" estetica del cinema di Rossellini, rimane una
delle più suggestive in quanto permette di gettare un ponte ideale
tra il neorealismo e il "cinema moderno", quello della novelle
vague francese e di tutti i movimenti di rinnovamento degli anni sessanta,
che direttamente o indirettamente si rifaranno al modello neorealista.
Assai più complesso appare il fenomeno, se guardiamo al cinema
neorealista più da vicino, in relazione alla situazione d'insieme
del cinema italiano, sia prima della caduta del fascismo, sia nel dopoguerra
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4. Le radici del neorealismo
Il neorealismo non è tutto il cinema
italiano del secondo dopoguerra. Ne è la componente culturalmente
più prestigiosa e più nota, ma certo minoritaria in termini
di incassi. Se la rinascita morale e la vitalitàestetica del cinema
italiano sono legate alle opere neorealiste, la sua sopravvivenza economica
e la sua continuità produttiva sono invece legate a film di carattere
decisamente tradizionale.
Il cinema italiano sopravvive e conosce un florido sviluppo grazie alle
fortune della produzione di genere e di consumo, con la quale del resto
lo stesso neorealismo ha rapporti di scambio, se non altro per il fatto
che ne rinnova l'iconografia, come accade per generi come il comico e
il melodramma sentimentale. Inoltre, il neorealismo non nasce da una tabula
rasa rispetto al cinema precedente, con il quale cisono indubbi rapporti
di "continuità", se non altro di uomini.
Aspetti della realtà quotidiana avevano travato espressione nelle
commedie di Mario Camerini (Gli uomini che mascalzoni..., 1932, Grandi
magazzini, 1939) e nei film "rurali" di Alessandro Blasetti,
Sole, 1929, Terra madre (1931), o in Quattro passi tra le nuvole (1942)
dello stesso Blasetti. Il richiamo a una realtà quotidiana, ai
tratti "regionali" e "paesani" della vita nazionale
(contapposti al cosmopolitismo cinematografico e letterario) era emerso
con vigore nel dibattito culturale in epoca fascista, per esempio negli
scritti di Leo Longanesi e in molti interventi apparsi sulla rivista Cinema
diretta dal figlio del duce, Vittorio Mussolini. La difesa di un cinema
nazionale, popolare e realista che venne fatta sulle pagine di Cinema
negli anni immediatamente precedenti la caduta del fascismo era assai
più che compatibile con il regime, tanto più che coincideva
con l'esaltazione di film indubbiamente propagandistici, come Sole (1929)
o Vecchia guardia (1934) di Blasetti o La nave bianca (1941) e L'uomo
della croce (1943) di Rossellini.
Al di là delle complesse vicende personali, politiche e culturali
degli uomini che diedero vita al movimento di rinnovamento del cinema
italiano, il neorealismo appare, più che un movimento organico
e unitario, una straordinaria affermazione del mezzo cinematografico.
La macchina del cinema che si rivela capace, anche nell'ambito delle convenzioni
narrative mai davvero messe in discussione, di cogliere il mutamento dello
scenario umano e visivo, ancor prima che politico. Uno dei punti di forza
del neorelismo fu la capacità di assimilare, in un clima di frenetico
aggiornamento vissuto come reazione al clima di chiusura della cultura
ufficiale fascista, nuovi modelli cinematografici e letterari e di adattarli
alla realtà italiana. Già nell'ambito delle istituzioni
cinematografiche del fascismo (le riviste Cinema e Bianco e nero, il Centro
Sperimentale di Cinematografia), critici come Umberto Barbaro, Luigi Chiarini
e Francesco Pasinetti avevano promosso un vasto lavoro di aggiornamento,
facendo conoscere gli aspetti più avanzati delle cinematografie
di tutto il mondo e promuovendo l'approfondimento degli aspetti teorici
del cinema (con la traduzione degli scritti di Ejzenstejn, Pudovkin, Balázs).
Ossessione (1943), film d'esordio di Luchino Visconti, considerato da
molti l'opera che anticipò, ancor prima della caduta del fascismo
e della fine della guerra, temi e stile del neorealismo, è sicuramente
importante per il fatto che ci mostra angoli inediti della provincia italiana
(i dintorni di Ferrara), che gli esterni sono stati ripresi nei luoghi
stessi dell'azione, che rompe con gli schemi compositivi del cinema italiano
precedente. Ma l'elemento di maggior novità consiste nell'assunzione
cosciente di modelli di riferimento inediti nel panorama del cinema italiano:
innanzi tutto, la narrativa statunitense: il film è tratto da Il
postino suona sempre due volte, 1934, di James Cain, un romanzo dall'intreccio
avvincente, dal ritmo serrato e dalla scrittura nitida e tesa; il cinema
francese, e in particolare l'opera di Jean Renoir, un autore che aveva
fornito originali interpretazioni cinematografiche del naturalismo letterario
dell'Ottocento e che, soprattutto con Toni (1934) aveva dato un rilievo
del tutto nuovo e di grande efficacia all'ambientazione, al paesaggio,
alle condizioni di vita di una comunità di provincia.
L'importanza di Ossessione non sta solo nella scoperta di una realtà
provinciale dimenticata dalla letteratura e dalla propaganda. Sta anche
e soprattutto nell'aver saputo esprimere la necessità di nuovi
modelli di rappresentazione e di interpretazione. Un bisogno di apertura
intellettuale e morale che non riguardò solo il cinema e che fu
efficacemente sintetizzato da queste parole di Cesare Pavese, scritte
nel 1946: " Noi scoprimmo l'Italia [...] cercando gli uomini e le
parole in America, in Russia, in Francia e nella Spagna". Fu questo
clima di apertura, che comportò anche un certo eclettismo, il dato
più importante della breve stagione neorealista, durante la quale
si affermarono quegli autori che fecero circolare il cinema italiano nel
mondo e che misero a punto una serie di modelli espressivi adatti a rendere
possibile uno scambio tra evoluzione della società italiana e cinema.
In questo senso si può affermare che per almeno un trentennio dopo
la fine della guerra, il cinema italiano è riuscito a interpretare
i mutamenti, gli umori e le contraddizioni di una società in rapida
evoluzione
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5. Cesare Zavattini e il ruolo degli sceneggiatori
Lo stretto legame con la cronaca e il costume
è forse il tratto che può accomunare le diverse personalità
che diedero vita al movimento. In questa direzione, un ruolo centrale
fu svolto da Cesare Zavattini. Scrittore, giornalista e sceneggiatore,
Zavattini scrisse tutti i principale film di Vittorio De Sica: Ladri di
biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umerto D (1952), e collaborò
anche con tutti i principali registi: da Visconti a De Santis, da Blasetti
a Zampa e Germi, svolgendo inoltre un'infaticabile attività di
proposta, di riflessione teorica e di provocazione morale.
Zavattini, con l'insieme della sua frenetica attività, costituì
l'anello di congiunzione tra cinema, letteratura e giornalismo dalla cui
interazione derivano molti dei caratteri originali del cinema italiano
del secondo dopoguerra, dal neorealismo alla "commedia all'italiana".
Accanto all'attività di Zavattini va ricordata quella di una pattuglia
di sceneggiatori che, con grande professionalità, si mossero in
questa direzione: Sergio Amidei, Suso Cecchi D'Amico, Ennio Flaiano ai
quali vanno aggiunti, per le più o meno saltuarie collaborazione
cinematografiche, scrittori come Vitaliano Brancati, sceneggiatore di
Anni difficili e Anni facili di Zampa, di Guardie e ladri di Steno e Monicelli
con Totò e di Dov'è la libertà? e Viaggio in Italia
di Rossellini, Diego Fabbri, Giuseppe Berto, Vasco Pratolini.
Si deve sicuramente al lavoro degli sceneggiatori la straordinaria ricchezza
linguistica del cinema italiano che ha saputo riprodurre la ricchezza
e la vitalità della lingua parlata con tutti i suoi impasti dialettali:
aspetto questo che sta alla base della grande capacità di circolazione
dei film italiani
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6. Autori e opere
Naturalmente, l'adesione al dato cronachistico,
che spesso rappresenta solo uno spunto di partenza, acquista significati
diversi nello stile dei singoli registi. Prendiamo, ad esempio, i film
della cosiddetta "trilogia della guerra" di Rossellini: Roma
città aperta (1945), Paisà (1947), Germania anno zero (1948).
Ciò che Rossellini ci rappresenta è la possibilità,
e la necessità, di una scelta morale, tutta interiore e spesso
tragica, che si traduce in gesto, in comportamento, come appare chiaro
già a partire dal terzo e come andrà meglio precisandosi
nella successiva "trilogia della solitudine": Stromboli terra
di Dio (1949), Europa '51 (1952), Viaggio in Italia (1953).
Nel cinema della coppia De Sica (regista) e Zavattini (sceneggiatore),
i dati dell'esistenza quotidiana, in un'epoca in cui la guerra e lo sottosviluppo
esasperano i problemi dell'emarginazione, vengono colti con toni apparentemente
dimessi e crepuscolari, ma sono al tempo stesso trasfigurati in senso
surreale e acquistano una dimensione di favola intrisa di umori ora patetici,
ora grotteschi. In Sciuscià (1946) (storpiatura di shoes shine,
lustra scarpe) una storia di piccola malavita e emarginazione nella Roma
occupata dagli Americani si intreccia con il "sogno" di due
ragazzi di comperarsi un cavallo bianco. Ladri di biciclette (1948) tratta
sicuramente il tema scottante della disoccupazione, ma al tempo stesso
sviluppa anche una tipica struttura favolistica che dà unita poetica
alle disavventure dei due eroi (il padre e il figlio) alla ricerca della
bicicletta rubata e permette di giocare anche sul registro del grottesco.
E mentre il successivo Miracolo a Milano (1950) accentua il carattere
favolistico e surreale dell'ispirazione zavattiniana (aspetto che fu causa
di fraintendimenti e ripulse), con Umberto D. (1952) De Sica e Zavattini
firmano uno dei loro film più rigorosi e coerenti, seguendo passo
a passo la vita quotidiana, fatta di solitudine e emarginazione, di un
pensionato.
Visconti, dopo l'eccezionale anticipazione di Ossessione (1943), torna
alla regia cinematografica con La terra trema (1948), ispirato a un classico
della letteratura italiana verista (I Malavoglia di Verga) e girato a
Aci Trezza, cioè nei luoghi stessi in cui è ambientato il
romanzo dello scrittore siciliano : i legami con i dati documentaristici
e cronachistici, per quanto enfatizzati allora in sede critica, risultano
oggi meno essenziali di quanto non risulti la sua straordinaria capacità
di assimilare e di fondere in un elegante manierismo modelli tratti dalla
tradizione letteraria, pittorica e musicale dell'Ottocento e del primo
Novecento. Su una sorta di mediazione tra il dato cronachistico (la diffusione
del mito del cinema e il miraggio dei facili guadagni) e il modello melodrammatico
(L'elesir d'amore di Donizetti) si basa Bellissima (1951) con il quale
Visconti ci ha dato non solo un affresco crudele di Cinecittà,
il variopinto e cinico ambiente della "fabbrica delle illusioni",
ma anche un impareggiabile ritratto di donna: la popolana interpretata
da Anna Magnani che sogna di far diventare sua figlia una piccola diva
del cinema.
Nel cinema di De Santis, il cui successo più clamoroso fu Riso
amaro (1949), ambientato nel mondo delle risaie e interpretato con prorompente
erotismo da Silvana Mangano, gli intenti di documentazione della realtà
umana e sociale delle mondariso (le donne addette alla monda del riso
in erba, lavoro durissimo che si svolgeva negli acquitrini delle risaie)
vengono sovrastati dal gusto per l'intreccio melodrammatico e per la valorizzazione
spettacolare del paesaggio, dell'erotismo, del folklore. Alla base del
successo anche internazionale del film ci fu sicuramente questa abile
commistione tra i miti arcaici della civiltà contadina e l'enfasi
spettacolare delle tecniche e dei miti della cultura di massa. Nel film
di De Santis le istanze ideologiche del neorealismo, alla cui definizione
aveva lui stesso contribuito come critico e con le sue prime prove (Caccia
tragica), vengono adattate alle regole di funzionamento dell'apparato
cinematografico: divismo, generi, erotismo. Il film di De Santis inaugura
anche uno degli aspetti più caratteristici del cinema italiano
del secondo dopoguerra: una curiosa commistione tra sagrati erbosi di
campagna e le passerelle dei concorsi di bellezza, tra la più dimessa
iconografia neorealista e la prorompente femminilità delle "maggiorate
fisiche": è questo la colorita definizione del rinnovato parco
del divismo femminile italiano, reclutato per lo più attraverso
i concorsi di "Miss Italia": Silvana Pampanini, Silvana Mangano,
Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Lucia Bosé.
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